Quella casa nel bosco
Regia: Drew Goddard
Anno: 2012
Voto: 7/10
Il titolo di questo film mi ha fatto venire immediatamente voglia di canticchiare (storpiandolo) il motivetto di Gino Bechi, del lontano 1943: “Vieni c’è una casa nel bosco / il suo nome conosco / vuoi conoscerlo tu?”
Quella casa nel bosco (“The Cabin in the Woods”) un nome ce l’ha ed è Horror.
Drew Goddard, il regista, si è già distinto per la sceneggiatura di Cloverfield (Matt Reeves, 2008). Per girare Quella casa nel bosco si è avvalso della collaborazione di Joss Whedon (che è anche il produttore del film) e di un incipit semplice: un gruppo di ragazzi decide di passare un week end in riva al lago, sistemandosi in una casetta fra gli alberi, che certo non è malridotta come quelle sparse nella foresta di The Blair Witch 2 (Joe Berlinger, 2000), ma ha un suo perché.
La storia è venata, sin da subito, da una certa ironia (che in un film horror fa ben presagire) e nei primi dieci minuti non si capisce dove voglia andare a parare. Colpa o merito dello svolgersi (in contemporanea) di due scene antitetiche ed irrelate (quelle in un non meglio identificato laboratorio scientifico e quelle in un non ben identificato alloggio femminile). Ed anche questo, in un film horror, è buon segno e non annoia.
Il plot si dipana in modo (piacevolmente) assurdo ed insensato: da slasher vira verso una versione campagnola del Grande Fratello per poi tornare allo slasher, con la classica antica maledizione (gitana, incas, aramaica), scatenata da un vecchio libro (o diario).
Espediente già utilizzato in La casa, di Sam Raimi (1981), con tanto di frasette in latino (agli americani fa molta impressione) che scatenano forze misteriose e terribili.
Il film di Raimi, sembra ispirare anche la cantina foriera di nefandezze (sì, anche se è chiaramente un prefabbricato, la casa nel bosco ha la cantina).
Nel 1981, il cadavere putrefatto di un’antica abitatrice della casa risorgeva dall’inferno, per mietere le sue (giovani) vittime, nel 2012 gli zombi escono dal terreno, grigi come quelli in bianco e nero de La notte dei morti viventi di Romero (1968). Anche se non sono zombi qualunque, ma una famiglia di zombi torturatori, che è come urlare a gran voce Non aprite quella porta, film di Tobe Hooper, del 1974 (ce l’avete presente Faccia di cuoio e la sua allegra famigliola di zoticoni assassini?).
Mentre morti viventi, stregonerie varie ed incubi assortiti fanno la loro apparizione in varie location in giro per il mondo (in Giappone salta fuori un fantasma in stile The Ring, quello diretto da Gore Verbinski nel 2002, con tanto di Samara lungocrinita), ad ogni (nuova) dipartita, il sangue della vittima di turno riempie strane incisioni nella pietra, all’interno di non si sa quale anfratto (già visto ne I fiumi di porpora, diretto da Mathieu Kassovitz nel 2000, nell’antro nascosto fra le montagne).
La prima parte del film si chiude così, in pieno (entusiasmante) delirio.
Il secondo round non parte dalla casa nel bosco, ma da lago prospiciente. Inutile dire che, per un attimo, mi sono aspettata di veder spuntare un cartello con su scritto Crystal Lake.
Il riferimento a Venerdì 13, diretto da Sean S. Cunningham nel 1980 è servito. Manca solo Jason Voorhees, annegato, vendicativo e con la pelle grigia e flaccida.
Ed è qui che la storia sembra finire.
Invece no. Ecco un altro spartiacque. E’ il trillo insistente di un telefono rosso a parete (che fa molto anni ’60, ma nell’era dei cordless ha poco senso), che riporta il laboratorio dell’incipit al centro del film. E’ un vago riferimento ai film catastrofici alla The Day After (leggi: apocalisse nucleare), film per la tv USA, diretto da Nicholas Meyer e trasmesso nel 1983. Quel telefono rosso, foriero di distruzione, angosciava molti (me compresa) ai tempi della guerra fredda. Dal 1989 (anno della caduta del muro di Berlino) è solo un telefono vintage.
Nel finale, si susseguono altre piccole citazioni all’horror pre-2012 (ne citerò solo alcune, per non rovinare la visione ai più). Dal nulla, deus ex machina, spunta un ascensore iper-moderno nello scantinato della casa in campagna. E’ una citazione palese di Devil, diretto da John Erick Dowdle nel 2010 (e sceneggiato da M. Night Shyamalan) con i suoi cinque (tenete a mente questo numero) sconosciuti, bloccati in ascensore col Diavolo stesso.
Ascensore che si inabissa in una struttura sotterranea (e semi infinita) che ricorda quella della Umbrella Corporation di Resident Evil, diretto da Paul W. S. Anderson nel 2002.
E’ un ascensore sui generis, con pareti che ruotano, come quelle di The Cube (Vincenzo Natali, 1997), per poi aprirsi su celle abitate da inquietanti creature. Alcune ricordano quelle cieche (ma zannute) di The Descent - Discesa nelle tenebre (appunto), diretto da Neil Marshall nel 2005 (no, non sto parlando del film con George Clooney, quello si intitola The Descendant), altre sembrano imparentate direttamente con i cenobiti di Hellraiser, diretto da Clive Barker nel 1987 (nel film di Goddard c’è una sfera maledetta, piuttosto che un cubo).
E’ l’inizio della fine. Il delirio è finalmente libero di popolare lo schermo con l’inimmaginabile. Esseri (forse) umani, mascherati come gli assassini di The Strangers (altro horror girato in una casa nel bosco), diretto da Bryan Bertino nel 2008 o Valentine (Jamie Blanks, 2001); creature di ogni genere, partorite dalla mitologia, dalle fiabe, dalle leggende metropolitane e da tutta la letteratura (ed il cinema horror). C’è persino il pagliaccio di IT, il romanzo di Stephen King (che però assomiglia anche troppo a Ronald McDonald…).
Una carneficina difficile da seguire, scene foderate di frattaglie, antiche divinità mefistofeliche bramose di bere il sangue di giovani vittime sacrificali…non sarebbe nemmeno il caso di farne un videogame. Sangue, frattaglie e demoni, sono già abbondanti nella saga videogamica di Diablo.
Poi la carneficina si interrompe e spunta fuori lei, Sigourney Weaver (Nostra Signora di Alien), che introduce la legge fondamentale dell’horror movie USA.
Cinque (ve l’avevo detto di tenere a mente questo numero) sono le vittime predestinate (ed eccellenti): la puttana (interpretata dalla Anna Hutchison che nel 2001 era nel cast del serial Sea Patrol); l’atleta (l’ubiquo Chris Hemsworth che è al cinema sia in The Avengers di Joss Whedon, sia in Red Dawn, di Dan Bradley); lo studioso (il Jesse Williams che interpreta la parte del Dr. Jackson nella serie in corso di Grey’s Anatomy); il buffone (Fran Kranz che comparsava nel Donnie Darko di Richard Kelly, nel 2001 e in The Village di M. Night Shyamalan, nel 2004).
“Mentre l’ultima” recita la Weaver “vive o muore a seconda del capriccio del fato: la Vergine” che in questo caso è la Kristen Connolly che recitava (seduta su una panchina) in E venne il giorno, diretto da M. Night Shyamalan (sempre lui), nel 2008.
“Dovete morire” continua “perché” siete giovani“. Che dire? Come cantavano i Blur nel lontano 1991: “There’s no other way, there’s no other way. all that you can do is whatch them play”.
Film da vedere!