I fiumi di porpora
Regia: Mathieu Kassovitz
Anno: 2000
Voto: 8/10
Elegia del doppio e violenza esplicita per la “nouvelle vague” francese: quando i vermi, sul cadavere, sussurrano una sottile critica alla società.
Mathieu Kassovitz, giovane regista francese, non è nuovo alla violenza, al sangue ed alla morte. Si è già avvicinato all’idea di “horror come critica sociale” tentata da Carpenter negli Stati Uniti con Essi vivono (1988), miscelando una tempesta critica allo sciovinismo come L’odio (1995).
Ne’ I fiumi di porpora, Kassovitz cerca di costruire una struttura che sia al tempo stesso dualistica, meta-horror ed autoreferenziale. Dualismo inteso come cortocircuito intellettuale della mente che non corrisponde più al corpo, della “mens insana in corpore insano”, della società che non corrisponde più al singolo individuo, isolato in un Eden idealizzato, ma inevitabile “valle di lacrime”.
I “fiumi di porpora” cominciano a scorrere attraverso un anfratto di roccia, in un necrotico parto “innaturale”, che porta alla scoperta di una cadavere brulicante di vermi, raccolto in posizione fetale, privato delle mani e degli occhi. Mani ed occhi che, i protagonisti stessi spiegano, sono “parti” geneticamente uniche ed irripetibili del corpo umano, l’identità stessa dell’individuo.
Le vittime, poi, sono “metaforicamente” private dell’Azione (le mani) e dell’Immagine (gli occhi), trasformate in referenti teorici alle formulazioni “deleuziane” della storia del cinema!
La dualità Mente/Corpo è ribadita dalla collaborazione tra il commissario Pierre Niémans (Jean Reno), attento solutore dell’enigma psicologico presentato dagli omicidi ed il tenente Max Kerkérian (Vincent Cassell), spesso impegnato in fughe, inseguimenti e scazzottate.
Quando il commissario smaschera l’insano progetto di creare una “razza perfetta”, trovandosi a fronteggiare una coppia di gemelle identiche (una delle quali psicopatica e vendicativa) si fa palese il riferimento ad altri “esperimenti” cinematografici tentati sul versante horror: primo fra tutti Inseparabili, diretto da Cronenberg nel 1988 (storia di due chirurghi, di due gemelli identici, di un’unica psicopatia legata alla “nascita”, al “corpo” alla “genetica”) ed ancora gli epigoni della teoria horror della “metamorfosi” come “corpo umano” che è laboratorio infetto di mostruose rigenerazioni (dal classico Frankenstein a La Mosca).
La suspense fatta di violenza e sangue si stempera piano nel thriller politico, sulla falsariga de’ I ragazzi venuti dal Brasile scritto da Ira Levin nel 1976, già storia dell’utopia nazista della “razza perfetta”, della “rinascita genetica del Fhürer”.
Del resto i riferimenti “politici” non mancano: i colori dominanti sembrerebbero essere il bianco (la neve), il rosso (il sangue, la carne) e il blu (i vestiti dei protagonisti) della bandiera francese – i ragazzi che discutono della violenza dei poliziotti parigini (riferimento diretto a L’odio) – le svastiche, non ultima quella appena tratteggiata dalle orme dei soccorritori, nella neve fresca della valanga finale.
I fiumi di porpora, quindi, come orrido e complesso viaggio intrauterino della coscienza, lungo le rocce oscure del sistema, attraverso il fluire pestifero di devastanti e malcelati fiumi di sangue.