Seven

Regia: David Fincher
Anno: 1995
Voto: 7/10

Due detective, il giovane e spavaldo Mills e l’anziano e disilluso Somerset, danno la caccia a un serial killer giustiziere deciso a punire i sette peccati, eliminando gli elementi corrotti della società con esecuzioni ingegnose e orripilanti.

Fincher mette in scena la sceneggiatura di Andrew Kevin Walker che è un chiaro rimando a L’abominevole dottor Phibes, diretto da Robert Fuest nel 1971. Il dr. Phibes, orribilmente sfigurato nell’incidente in cui è morta anche la moglie, uccide i medici che non sono riusciti a salvarla, organizzando omicidi ispirati alle sette piaghe d’Egitto.

David Fincher rimanda continuamente al passato, alla Divina Commedia di Alighieri, ai Racconti di Canterbury di Chaucer, alla letteratura cristiana, ovvero, alle colpe dell’umanità ed alle orribili punizioni che l’aspettano (ad espiazione dei suoi peccati).

La natura allegorica di Seven è evidente e riconoscibile: il serial killer John Doe, è un americano qualunque, la coppia di investigatori è lo stereotipo del detective urbano della letteratura e del cinema noir.

Solo quando Somerset (Morgan Freeman) afferma: “Hemingway ha detto che il mondo è meraviglioso e vale la pena di lottare in suo nome; sono d’accordo solo con la seconda parte”, l’inquietante nichilismo del film sembra attenuarsi. E’ ad un passo dalla pensione, disilluso e disgustato, sceglie di chiudersi al mondo, in istintiva difesa dagli orrori della società.

Al contrario, l’ispettore Mills (Brad Pitt) è sorretto dalla ferma convinzione che azione ed ottimismo siano sufficienti a rimettere in ordine il mondo, perché è giovane, avventato ed appena arrivato in città, nuovo al mondo.

E’ la stessa differenza che corre tra la letteratura millenaria, polverosa e disillusa e la velocità, positivista e postmoderna del cinema.

Lo psicopatico Doe rappresenta d’iperbole mefistofelica delle loro inclinazioni, incarnando  sia Somerset (con la sua sfiducia nell’umanità ed il palese disprezzo per la violenza) sia e Mills (con la sua aggressività avventata).

Nello stesso tempo, il rapporto tra i due poliziotti si configura come un viaggio iniziatico nella selva oscura della metropoli senza volto, crogiolo di vizi e di corruzione, livida e decadente. Una città che ricorda quella di Blade Runner (Ridley Scott, 1982), altrettanto buia, eternamente spazzata dalla pioggia e percorsa da apocalittici segnali di morte.

Gli abitanti della metropoli oscura, rappresentata da Fincher, vivono nell’apatia più assoluta, completamente indifferenti alla violenza che li circonda, all’abominio dei cadaveri martoriati da Doe, rintanati nelle loro case, comparse senza volto. E’ una popolazione di reietti ed emarginati quella di Seven: l’obeso, lo spacciatore, la prostituta, il losco proprietario del cinema porno (completamente indifferente alle depravazioni che avvengono nel suo locale), l’artistache ha scolpito il fallo di metallo e che vive realizzando costumi sado-maso.

La società, filtra sulla pellicola di questo film solo se è abominevole. Anche le idilliache scene di vita familiare,  di Mills e la moglie Tracy (Gwyneth Paltrow) nascondono la stortura dei cani, trattati come figli.
Anche il sesso è pratica sadica e mortale. Basti vedere la sequenza che descrive l’assassinio corrispondente al peccato della lussuria ed ambientata in uno squallido e buio  cinema  porno. Le luci pulsanti e la musica assordante sono le molliche di pane che conducono alla prostituta sventrata da un fallo metallico appositamente progettato da Doe. Sesso che è perversione sporca ed anticamera della morte,  come negli snuff movie (fantomatici video amatoriali in cui una vittima casuale è stuprata, seviziata e uccisa).

Sette sono  i giorni della settimana, sette i peccati capitali. Eppure, non c’è un omicidio al giorno, non tutti i predestinati muoiono (alcuni decidono di togliersi la vita) e di fatto il serial killer non uccide nessuno di propria mano. In  Seven,  il  Mostro  non  è  più  solo  il  serial killer,  ma la razionalità che lo ha generato, così come gli agenti che tentano di catturarlo, non sono più soltanto gli eroi della storia, ma esegeti dell’orrore.

La loro funzione di detective si confonde con quella del critico d’arte; il crimine perde i connotati dell’evento sovversivo e patologico per acquisire quelli del fenomeno estetico, dell’happening che ha come oggetto il corpo mutilato, decomposto.

La canzone The Heart’s Filthy Lesson sui titoli di coda (per fare un esempio) fa parte di Outside, una raccolta di canzoni scritte da David Bowie ed ispirate ai cadaveri (umani ed animali) reinterpretati in sculture concettuali. Il testo che l’accompagna è significativamente ambientato in un immaginario Museum of Modern Parts, cruenta variazione di Museum of Modern Art.

Chiude il cerchio, l’assassino che  vuole essere catturato per concludere la propria missione e diventare perciò immortale.
Doe, infatti, uccide la moglie di Mills (ed il bambino che porta in grembo) costringendo il detective, pazzo di dolore e di rabbia, ad ucciderlo a sua volta.

Il serial killer, che invidiava la tranquilla vita familiare di Mills, ha così purificato il suo peccato, mentre l’investigatore, peccando d’ira ed uccidendolo, ha distrutto definitivamente la sua purezza.
John Doe è espressione della modernità cinematografica, privo d’identità e figlio di una società perversa ed indifferente.

Seven rappresenta una visione desolante del mondo e del genere umano, mal celando un’aspra critica all’annientamento dei valori morali, all’indifferenza e alla violenza della società moderna.

Film da vedere. Magari in un giorno di pioggia.

Author: Mafalda Laratta

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