The Woman in Black

Regia: James Watkins
Anno: 2012
Voto: 6/10

Harry Potter deve morire! E per mano della strega cattiva (in nero). Più che un film, una nemesi karmica.

Sì, è proprio lui, Harry Potter (Daniel Radcliffe), appena uscito dall’ultimo episodio della saga. Non ha più gli occhiali e nemmeno un filo di barba (ad Hogwarts non avevano ancora inventato la formula magica del cerone, a Londra ci ha pensato il truccatore).

Ha un figlio di quattro anni. La moglie è morta di parto nel darlo alla luce. Questa tragedia è inserita da flashback seminati a sprazzi, dall’inizio alla fine del film. Si rimane un po’ delusi quando si scopre che la moglie non è Hermione (Emma Watson) ma una donna bionda di cui pochi si ricorderanno (è la Sophie Stuckey di Le mie grosse grasse vacanze greche).

 La storia inizia con Arthur Kipps-Harry Potter, un giovane avvocato (che ricorda il Jonathan Harcker di Dracula), inviato nelle paludi ad est di Londra a reperire atti notarili e documentazione varia su una magione infestata d’erbacce da mettere in vendita, a seguito della morte di una vecchia vedova nonché ultima proprietaria.

La magione è simile ad altre mille haunted house. Dracula non è in casa e nemmeno la donna in nero che però sembra nascondersi dietro ad ogni angolo.

L’accoglienza inospitale degli abitanti del villaggio ai margini della palude è la stessa che riceve Harcker sui Carpazi. Lo spazio che separa il villaggio (la realtà) dalla casa infestata (la follia?) è fumoso ed indefinito (come il bosco che circondava la villa di The Others diretto da Alejandro Amenábarnel 2001), appare e scompare come la volontà di credere o meno a fantasmi e maledizioni.

Gli effetti speciali non sono quelli che vi aspettereste nel 2012.

La telecamera beccheggia, come una nave nella tempesta, nell’intento di produrre instabilità e squilibrio (se non proprio il mal di mare). Il regista ripropone tutte le tecniche video e di montaggio, tipiche dei film di suspense. Angoli bui, movimento ai margini delle inquadrature (che lo spettatore percepisce con la coda dell’occhio), controcampi veloci che lasciano presagire qualcosa di terribile alle spalle degli attori.

Il set, decadente, polveroso e pesante è riesumato dal The innocents di J. Clayton (1965), ma non restituisce lo stesso senso di angoscia ed inquietudine.

Quando poi, la donna in nero fa la sua apparizione, ci si accorge che i pixel intorno a lei si fondono e spariscono (effetto che potrebbe riprodurre un bambino di 5 anni lasciato solo con un programma qualunque di video editing).

Salterete sulla sedia tutte le volte che il sonoro interromperà la sequela di controcampi, irrompendo frastornante ed inaspettato (anche questo è un vecchio trucco per spaventare lo spettatore, laddove la storia non ci riesce).

Casa infestata, Banshee urlante, strega-befana (senza scopa), Erinni vendicativa, bambini che spuntano dalla terra come gli zombi di Romero e lasciano impronte bagnate come la Samara di The Ring.

Niente di nuovo neanche nel simulato lieto fine stile “e vissero tutti felici e contenti” (all’altro mondo, però). Inutile il primo piano in computer grafica anni ’90 della donna in nero che fissa la sala con occhi ciechi ed inespressivi. Faceva più paura il Tyrant di Resident Evil 2.

Author: Mafalda Laratta

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