Henry

Henry – Pioggia di sangue (1990), regia di John McNaughton.

L’ultimo decennio del XX secolo ha partorito l’assassino seriale più realistico e brutale di tutta la storia del cinema horror. L’austera mediocrità di una vita  alla “disinfestazione” casuale della società moderna.

Un omicida seriale (Michael Rooker) inizia al delitto Otis (Tom Towels), l’uomo con cui divide l’appartamento.
Henry ha subìto gravi traumi durante l’infanzia; odia l’umanità ed il sesso femminile in particolare; Otis, affascinato dalla brutalità dell’amico, può condividere con lui l’intensa emozione dell’assassinio.
La sorella di Otis, Becky (Tracy Arnolds) ignara di tutto, si innamora di Henry che, al confronto del fratello, sadico ed incivile, sembra un uomo gentile e sensibile.

Allucinante spaccato di una mente malata ed assolutamente priva di moralità, “Henry, pioggia di sangue” è liberamente ispirato al caso di Henry Lee Lucas, un serial killer americano realmente esistito.

Il film è girato con uno stile documentaristico, lucido ed imparziale; la violenza esplicita è sorprendentemente contenuta, ma nessun film è mai andato tanto a fondo nell’esplorare l’orrore dell’omicidio in serie. L’identikit psicologico del serial killer Henry è elementare: non c’è nessun passato, nessun “milieu” che caratterizzi il personaggio, che ne giustifichi la violenza.

Dall’inizio alla fine del film (ma non esistono ne’ un prima ne’ un dopo definiti) Henry uccide, con la sola precauzione di cambiare spesso “modus operandi”, di spostarsi continuamente da uno Stato all’altro e di non avere nessuna relazione con le vittime, così da poter sfuggire alla cattura.

Soltanto Becky, nonostante un padre incestuoso ed un fratello violento, sembra provare qualcosa di simile a sentimenti umani. E’ solo a lei che Henry riesce a confidare della madre prostituta che (da bambino) lo truccava da donna, costringendolo ad assistere alle orge che organizzate in casa. Il padre, camionista, è spesso assente e completamente indifferente alla vita familiare. Il fratello è orribile a vedersi, a causa di una malattia deformante delle ossa. Henry, estenuato dai maltrattamenti, uccide sua madre, e per questo trascorre la sua adolescenza in riformatorio.
Tornato in libertà, si stabilisce nei quartieri bassi e, per mantenersi, fa il disinfestatore, uccidendo animali ed esseri umani con la stessa fredda indifferenza, come obbedendo ad uno stimolo primario.

Henry, all’apparenza, è un uomo perfettamente normale, non lo si vede mai nell’atto di uccidere; si vedono, invece, i corpi orribilmente straziati delle sue vittime, mentre la colonna sonora ne rimanda grida, rantoli e tonfi, suggerendo l’azione fuori campo. Solo in compagnia di Otis, Henry si mostra per quello che è: un assassino senza scrupoli e senza coscienza.

Le irrelate ed ingiustificate gesta di un killer provinciale, insignificante, mediocre e letale…

Becky e Otis sono la sua nuova famiglia: lei ha il marito in galera, una figlia affidata alla nonna, faceva la ballerina; lui è un maniaco, spaccia droga e lavora saltuariamente ad una pompa di benzina. Otis è la deformazione del padre e Becky una figura che ripete l’oscena fertilità della madre. Padri e madri come malsane parodie di originali persi per sempre, ricalchi osceni di una dimensione familiare già sperimentata come incubo.

Tornato a casa, dopo l’ennesimo delitto, Henry trova Otis e Becky, insieme, in una volgare e squallida parodia delle scene a cui era costretto ad assistere da bambino: è necessario, quindi, risolversi ad uccidere il “padre” Otis e, poche ore dopo, la “madre” Becky, colpevole di partecipare all’orgia di turno.
Henry non dimostra alcun sentimento per le sue vittime, esseri umani senza passato e senza identità, comparse disarticolate da un reale che è serialità metodica.

McNaughton non ci mostra alcuna indagine di polizia; rinunciando fin dall’inizio alla “suspense”, al confronto fra Bene e Male, abolisce il concetto stesso di Legge, Henry è l’espressione stessa di una società indifferente e cinica che ha completamente perso il senso dell’orrore.

Lo psicopatico di “Henry, pioggia di sangue” diventa così il prototipo di una nuova generazione di assassini. Il Jason di “Venerdì 13″, il Michael Meyer di “Halloween” e lo stesso Freddy Krueger di “Nightmare” proponevano una dimensione del tutto onirica ed irreale della morte, rivestendola di significati morali elementari.

Il moderno “eroe negativo” (splatterpunk), invece, figlio dell’istanza postmoderna che lo ha creato, perde completamente la sua individualità, scompare nella massa, spinto da un impulso primordiale ad uccidere.
Mentre i delitti di Norman Bates in “Psyco”, erano giustificati da un’evidente malattia mentale, l’Henry di McNaughton uccide solo perché sente la necessità di farlo.

Che “Henry, pioggia di sangue” sia splatterpunk, basta a dimostrarlo la sequenza che ci mostra Henry ed Otis che seviziano, violentano ed uccidono una donna, nella propria casa, davanti agli occhi del giovane figlio ed a quello freddo e distaccato della telecamera che sta riprendendo il massacro.

La violenza esplicita dello “snuff movie”, la sua valenza pornografica, criminale ed oscena dimostrano chiaramente la sostanziale appartenenza al filone splatterpunk.
Del resto, tutto il film è disseminato di scene di sesso e violenza esplicita, come dimostra la sequenza in cui Becky, per difendersi dalle “avance” aggressive del fratello, gli pianta un pettine in un occhio e quella in cui Henry, dovendo sbarazzarsi del corpo di Otis, (con estrema naturalezza) lo fa a pezzi nella vasca da bagno.

Per il suo contenuto violento, “Henry, pioggia di sangue”, primo film diretto da McNaughton, nel 1986, fu distribuito negli Stati Uniti solo quattro anni dopo, ed in Italia addirittura nel 1992.
Sull’onda del successo ottenuto da McNaughton (e con apprezzabile tempismo) è stato prodotto “Henry – Pioggia di sangue Parte II”: il titolo è un espediente ridicolo e la storia non ha niente a che fare con il primo episodio.

Author: Mafalda Laratta

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