Chernobyl Diaries

Regia: Brad Parker
Anno: 2012
Voto: 5/10

Dopo Fukushima, torna alla ribalta lo spettro del nucleare. Mutazioni, esperimenti, scherzi della natura. Il sonno atomico della Natura genera mostri.

Parker, il regista è stato il  digital artist di Fight Club (David Fincher, 1999) e di Blood Story (Matt Reeves, 2010), inutile remake di Lasciami entrare, diretto da Tomas Alfredson, nel 2009 e basato sull’omonimo romanzo di John Ajvide Lindqvist.

Un gruppo di ragazzi è in giro per l’Europa e viaggia di città in città. Arrivati in Russia, non possono non partecipare ad un viaggio estremo a Pripyat, una città fantasma ucraina non lontana dalla capitale Kiev, nota perché nei pressi della famosa centrale nucleare di Cernobyl, fulcro di un gravissimo incidente nucleare, avvenuto nel 1986.

Il film segue le regole classiche del Survival Horror: case deserte, mostri nascosti nell’ombra, armi raccattate alla bene e meglio, la fuga verso un’improbabile salvezza. I cliché abbondano (purtroppo) e sono quelli già visti in altri film (più riusciti).

La somiglianza più evidente, però, è con i videogiochi a tema: la luce se ne va sempre al momento meno opportuno (solo e se ci sono mostri in agguato), in un’alternanza giorno/notte meglio riuscita in Silent Hill (Christophe Gans, 2006) basato sulla notissima saga per Playstation.

Le stesse strade e gli stessi palazzi (nonché la natura penetrata in ogni anfratto e cresciuta rigogliosa, nonostante le radiazioni), sono gli stessi ricostruiti in 3D per videogiochi come  S.T.A.L.K.E.R.: Shadow of Chernobyl (le tute anti-radizioni, indossate dai soccorritori sembrano proprio le stesse) e riproposte in un paio di missioni di Call of Duty 4: Modern Warfare.
In un palazzo, i protagonisti trovano una mappa della città attaccata al muro, neanche stessimo giocando a Resident Evil, piuttosto che guardando un film (vi assicuro che non mancano nemmeno i branchi di cani famelici).
La videocamera, sempre accesa nella prima parte della storia ed il gruppo di ragazzi che si incammina fra boschi un po’ tetri, ricorda, inevitabilmente, The Blair Witch Project (Daniel Myrick ed Eduardo Sanchez, 1999) ed il suo sequel The Blair Witch 2 (Joe Berlinger, 2000).

I piccoli mostri mutanti, si vedono poco, ma assomigliano vagamente ai piccoli alien appena sgusciati fuori dai loro bozzoli bavosi.
I ragazzi si trincerano dietro porte e finestre, barricandole sommariamente come ne La notte dei morti viventi di Romero (1968).
Un laghetto ospita strani pesci zannuti ed il pericolo è sempre quello di finirci dentro, come in  Piranha, diretto da Joe Dante nel lontano 1978.
Unica presenza (presumibilmente) umana, quella di un bambino (o bambina?), di spalle e nel buio. Presenza che riporta alla mente una scena analoga di Profondo Rosso (Dario Argento, 1975).

Il cast è ininfluente: il film non colpisce per la recitazione ed anche la sceneggiatura è un po’ carente. Del resto, è difficile che qualcuno vinca l’Oscar scappando malamente ad esseri non umani che a stento si vedono.

La storia inizia con la frase “sono morti tutti” e finisce con un bel “li ho fatti morire tutti”.
L’unico divertimento sarà scommettere su chi sopravviverà (anche perché il finale lascia un po’ a desiderare).

Author: Mafalda Laratta

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